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ARTICOLO

LICENZIAMENTO PER IL RIFIUTO DI NUOVA MANSIONE IMPOSTA


Il lavoratore non può rifiutare a priori lo svolgimento di una nuova mansione imposta dal datore di lavoro, altrimenti compirebbe insubordinazione punibile con il licenziamento. Ciò vale anche se le mansioni richieste non rientrano tra le operazioni inquadrabili nel livello per cui si è assunti. Infatti, il datore di lavoro conserva comunque la libertà di fare impresa che implica che il lavoratore deve eseguire le disposizioni datoriali (ex art. 2086 e 2014 c.c.)

Una simile situazione, tuttavia, comporta la possibilità per il lavoratore di poter comunque chiedere in giudizio di essere ricondotto all’interno della qualifica di appartenenza dell’adempimento extra richiesto. Il rifiuto di svolgere tali mansioni deve passare cioè per il giudice del lavoro.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24118 del 3 ottobre 2018. Vediamo quindi nel dettaglio i contorni della pronuncia dei giudici.

La vicenda nel caso di specie riguarda una cuoca impiegata presso una scuola d’infanzia comunale. La società datrice che ha ottenuto l’appalto del servizio di ristorazione obbligava alla dipendente di portare in classe le colazioni dopo averle preparate. La dipendente ha dichiarato che la pretesta della società esulava totalmente dai compiti propri della qualifica di appartenenza, rifiutandosi di svolgere la mansione.

La società procede con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo per insubordinazione alla prestazione. La Commissione tributaria ha confermato l’annullamento del licenziamento comunicato con lettera del 5.8.2014. La società, invece, è stata condannata alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento alla reintegra.

La società impugna la sentenza e ricorre alla Corte d’Appello. In tale sede i giudici danno nuovamente torto alla società, respingendo il reclamo e annullando le sanzioni conservative irrogate con lettere del 17.2.2014, del 21.3.2014, del 20.5.2014.

La questione finisce alla Corte di Cassazione, dove la società ha proposto ricorso sulla base di nove motivi.

A sostegno della propria tesi la società ritiene che:

  • i giudici non hanno contestato il fatto che la mansione imposta rientra nelle “operazioni complementari” alle quali è tenuto il lavoratore inquadrato, cioè nel livello IV del contratto collettivo;

  • non si tiene conto della reiterazione del comportamento della dipendente. Inoltre, viene evidenziato come l’insubordinazione di una mansione ricomprese nel livello di inquadramento comporta il licenziamento in tronco;

  • il lavoratore non può rifiutarsi di eseguire la prestazione richiesta senza prima agire giudizialmente per ottenere che le mansioni pretese siano ricondotte nell’ambito della qualifica di appartenenza;

  • era necessario valutare anche i criteri di correttezza e buona, poiché il mancato servizio ha provocato disagio anche nel personale docente della scuola per il ritardo causato dalla distribuzione delle colazioni agli alunni;

  • nella determinazione dell’indennità risarcitoria non è stata considerata l’aliunde perceptum;

I giudici della Suprema Corte hanno respinto parzialmente il ricorso della società. In particolare, la richiesta imposta alla dipendente di portare in classe le colazioni rivolta, inquadrata con la qualifica di cuoca IV livello, esulava dalle mansioni corrispondenti alla predetta qualifica. Ciò in considerazione del fatto che l’operazione richiesta si concretizzava semplicemente in compiti di natura esecutiva propri di un livello inferiore.

A tal proposito, gli ermellini richiamano la giurisprudenza di legittimità (Cass. 08/08/2003 n. 12001). Tale sentenza afferma che l’illegittimo comportamento del datore di lavoro, consistente nell’assegnare il dipendente a mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica, può giustificare il rifiuto della prestazione lavorativa. Ciò è possibile, però, soltanto se la reazione sia connotata da caratteri di positività, risultando proporzionata e conforme a buona fede, dovendo in tal caso il giudice adito procedere ad una valutazione complessiva dei comportamenti di entrambe le parti.

Sulla base di quanto affermato la sentenza ha chiarito che qualora il lavoratore venga adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza.

Ciò non lo autorizza però a rifiutarne a priori l’adempimento. In tali casi, infatti, bisogna tenere conto anche degli artt. 2086 e 2104 cod. civ. e del principio sancito dall’art. 41 Costituzione, che accorpano le norme sulla libertà di fare impresa.


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