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ARTICOLO

CONTRATTI A TERMINE, MENO PROROGHE


Sui contratti a termine si profila un intervento più ampio, non limitato alla sola riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima. Anche sulle proroghe il governo studia una sforbiciata, da cinque a tre.

Mentre si sta provando, pure, a disegnare un “paracadute” per i rapporti a tempo determinato in corso: quelli tra le stesse parti - è l’ipotesi allo studio - continuerebbero a essere disciplinati dalla normativa oggi vigente. In pratica, le nuove disposizioni si applicherebbero ai contratti a termine firmati per la prima volta da impresa e lavoratore.

Dopo l’accordo “politico” di martedì tra i partiti di maggioranza per una “stretta” sul lavoro atermine, i tecnici di palazzo Chigi e ministero del Lavoro, ieri, si sono incontrati per mettere a punto un testo che, da quanto si apprende, è atteso oggi in commissione Bilancio della Camera nel corso dell’esame della manovra. L’orientamento è quello di riformulare l’emendamento depositato della responsabile Lavoro del Pd, Chiara Gribaudo, che prevede una riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato da 36 a 24 mesi. Il timore del governo riguarda la gestione della fase transitoria, si vuole evitare che le nuove norme intervengano come una sorta di “ghigliottina” finendo per penalizzare chi ha rapporti di lavoro a tempo in corso o in scadenza. Di qui la scelta di correre ai ripari, correggendo l’emendamento con una entrata più soft della nuova disciplina. La Pubblica amministrazione, inoltre, sarebbe esclusa dalle novità, fino a quando terminerà il processo di stabilizzazioni annunciato dalla ministra Marianna Madia.

La modifica della disciplina del decreto Poletti che a marzo del 2014 ha introdotto contratti a tempo determinato di durata di 36 mesi senza dover indicare la causale, con 5 proroghe, ha provocato diverse critiche, tra cui quella di Confindustria. «Nella pratica, dalle novità c’è da attendersi due effetti negativi – spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro a La Sapienza di Roma – Aumenterà il numero di lavoratori precari, in quanto diminuendo la durata dei rapporti temporanei, il lavoro a termine verrà ripartito tra un maggior numero di persone favorendo il turn over dei lavoratori a tempo. E si ridurrà l’effetto consolidamento del rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro, presupposto per trasformare il contratto a tempo indeterminato. Ciò, paradossalmente, sfavorirà quelle aziende che mirano alle assunzioni stabili, perché puntano sul capitale umano».

Dubbi anche in casa Pd: «Non c’è dubbio che la probabilità di un giovane di passare da precario ad assunto stabilmente cresce con la durata del tempo determinato – aggiunge l’economista del Lavoro, Carlo Dell’Aringa, Pd –. In questo senso la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima dei rapporti a termine rischia di non aiutare.

Meglio la riduzione delle proroghe a tre». L’intervento sui contratti a termine «è il sintomo che il Jobs act non sta funzionando – dice Elena Centemero (Fi) – Per ridurre la precarietà non servono interventi spot, ma politiche industriali e meno tasse sul lavoro».

Per Tiziana Ciprini (M5s) l’orientamento è quello di esprimere un «sì polemico» all’emendamento sui contratti a termine: l’accusa al Pd è di «promuovere un’operazione politica per accreditarsi presso un certo elettorato di sinistra che si è sentito tradito dal Jobs act». Plaude la Cgil: per Susanna Camusso «i contratti a termine più brevi sarebbero un bel segnale.


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